Fratel Venzo, natura morta.
Olio su tela cm. 50:70
Titolo sul retro: “pane e vino”
La fede nell’arte è, per Fratel Venzo, simile alla fede in Dio: anzi, i due momenti sembrano coincidere. Non che l’uno sia la conseguenza del secondo, o viceversa. Fratel venzo, fino ai 40 anni ha fatto, per sua stessa ammissione, tutto ciò che voleva, dopo la sua entrata nella Compagnia di Gesù si è ritrovato a fare tutto ciò che volevano gli altri. La vita religiosa è una regola come una regola è l’esercizio della pittura; essa si basa sul controllo, sulla ragione e quindi sull’obbedienza. Van Gogh si sottomise alla pittura, la forza del colore lo incatenò al limite del sacrificio. Per Fratel Venzo l’obbedienza significava imparare, apprendere il linguaggio espressivo dei colori e parlare con i colori.
A vent’anni Fratel Venzo entra all’Accademia di Venezia dove impera Ettore Tito con la dinastia dei Ciardi. Le fiammate delle avanguardie veneziane stavano per esaurirsi con Gino Rossi oramai al limite della pazzia, Moggioli, Boccioni e Casorati che, per motivi diversi, avevano abbandonato Venezia.
Ancora non erano usciti i nuovi nomi di Cá Pesaro ( Ravenna, Seibezzi, Neno Mori, Varagnolo ) che Fratel Venzo decide di trasferirsi a Parigi. Lì espone con gli italiani di Parigi, Tozzi, Campigli, De Chirico, De Pisis. È affascinato dalla pittura Rouault, Gauguin, Van Gogh e, soprattutto, Cezanne per il quale ha una totale ammirazione perché vede in lui una pittura senza sofisticazioni intellettuali.
Siamo negli primi anni ’40 e Fratel Venzo, di ritorno da Parigi, entra a fare parte della Compagnia di Gesù a Lonigo; successivamente si trasferisce a Gallarate dove muore nel 1989. In questi 50 anni di attività, dopo cioè la formazione parigina, Fratel Venzo dipinge molto, la critica lo promuove e i collezionisti si contendono le sue opere; inoltre viaggia molto ed arricchisce il suo bagaglio culturale, espone in moltissime mostre sia in Italia che all’estero.