Emilio Vedova. Sono davvero in pochi a non conoscerlo, è un artista caposaldo della pittura informale.
Veneziano, autodidatta, instancabile sperimentatore.
Nasce sul finire degli anni 10, nel 1919 e tra gli anni Trenta e Quaranta inizia a realizzare dipinti figurativi in cui è comunque già evidente lo slancio emotivo che contraddistinguerà tutte le sue opere successive.
Poi, negli anni Quaranta lo vediamo protagonista del gruppo Corrente, un movimento che si voleva affrancare dalle ricerche artistiche più tradizionali e consolidate in quel frangente temporale. Nel secondo dopoguerra diventa protagonista assoluto del contingente dell’arte astratta che lo vede in netta contrapposizione con il realismo.
Vedova è uno dei rappresentanti di maggiore rilievo dell’Informale, tendenza che dilagò sia in Europa che negli Stati Uniti negli anni Cinquanta.
Cosa contraddistingue quindi la scelta stilistica informale di Vedova?
In primis l’affrancamento da ogni immagine figurativa, e addirittura delle forme riconoscibili che rimandano a una legittimazione di quella che è un’identicità tangibile. Tutto ciò viene negato nella produzione dell’artista che desidera esplicitare quella che è il conflitto dilaniante che alberga nell’uomo tra le pulsioni dell’inconscio e i dettami sociali, spesso ingabbianti.
Come concretizza questo a livello pittorico?
Vedova da forma a una pittura gestuale. Il suo gesto è assolutamente libero da ogni vincolo. Anche il colore, impiegato puro, partecipa alla composizione da protagonista, anch’esso libero ed emancipato da ogni incasellamento.
Nonostante questa apparente libertà, i quadri a cui dà vita Vedova sono strutturati sapientemente tenendo bene a mente le regole di composizione, spaziali e le teorie del colore.
È proprio grazie a questa sapienza e tensione tra libertà emozionale e controllo del raziocinio che Vedova è riuscito a realizzare opere dal potere espressivo dirompente.