Cerco opere di Enrico Castellani

Il concerto d’arte, come dice il pittore stesso, non muore mai ma continua a rinascere, è come un serpente che cambia pelle ma porta sempre con sé il bello. Partendo da questa riflessione Enrico Castellani riflette sui mezzi e sul metodo.
Immagina un pittore. Un uomo che mescola i colori nella propria tavolozza, sceglie il pennello più adatto per disegnare il dettaglio di una rosa e guarda la tela con l’amore di un padre. Ora prendi quest’immagine, accartocciala e cestinala, proprio come faresti con uno scontrino vecchio e di poco interesse. Questa è l’azione che ha fatto il designer con il concetto di arte.
L’arte e la tradizione erano uno scontrino di un caffè, un qualcosa di poco interesse che alla prima occasione è stata eliminata prendendo le materie (carta e inchiostro) per creare qualcosa di nuovo. Il pennello è stato sostituito da un martello ed il colore dai chiodi. La tela è l’unico elemento stabile ma rivoluzionata completamente nel suo essere, come se essa fosse persona, con la pelle, degli occhi, una bocca e soprattutto una mente. Il tessuto diventa espressione di se stesso, la pelle diventa tensione ed i chiodi ferite.

Quando noi pensiamo ad una persona ci concentriamo sul colore dei suoi occhi e dei suoi capelli, del vestito che gli dona di più oppure del rossetto rosso che indossava la sera precedente. Siamo sempre spettatori di un palco scenico esterno, analizziamo il frontale. Castellani al contrario, ha voluto costruire il retroscena, il moto interiore e solo consecutivamente il dipinto si creava da sé come se l’artista non fosse altro che un Primo Mobile di un mondo molto più grande di esso, come un Geppetto che crea il suo Pinocchio ma poi spetta a lui crescere.
L’aspetto tattile è di fondamentale importanza, è come accarezzare una persona e trovare tutte le sue caratteristiche, il chilo di troppo, l’osso scarno, la cicatrice, una ruga, la sensazione dei capelli. Allo stesso modo possiamo chiudere gli occhi e immaginare la tela, la dolcezza del suo tessuto, la punta di un chiodo, lo squarcio del dolore. Un modulo continuo di interpretazione oggettiva influenzata da campiture omogenee e monocromatiche, molto spesso di colore bianco, proprio per invitarci a non utilizzare gli occhi.

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