La guerra viene sempre decodificata nella negatività; viene associata al colore rosso, ma di certo non per ricordare l’amore. Per Franco Grignani la belligeranza ha riservato un’esperienza inaspettata e formativa.
La seconda guerra mondiale è alle porte e l’architetto viene chiamato alle armi. Immaginiamoci un creativo chino nella scrivania, sommerso da riviste in tutte le lingue, fogli sparpagliati e mozziconi di matita. Questo è stato l’evento bellico per il designer, i proiettili erano in realtà le immagini che esso creava.
Gli è stato richiesto di tenere un corso di “avvistamento aereo” per i compagni, l’arma da utilizzare erano le sue conoscenze. La richiesta l’ha lasciato spiazzato. Non sappiamo come reagire ad un nuovo problema e abbiamo perciò bisogni di elaborarlo e trovare delle soluzioni. Questo input ha creato Lui e la sua Arte: sperimentalismo visivo e regole percettive sono diventate la benzina di uno stato di pazzia creativa, un moto continuo di un’anima in cerca di novità. Per descriverlo con le sue parole: “Ciò che mi fa paura è l’ovvio, la banalità, il già fatto e il non senso”. Nasce così la sua opera migliore, il concetto di “metodologia della visione”, un’azione che non si limita al guardare ma studia l’interiorità più nascosta di un’azione che compiamo ogni secondo, lo stai facendo proprio ora. Tramite modifiche e sollecitazioni “artificiali” genera suggestioni ed emozioni nella mente dello spettatore, una frazione di secondo che genera l’essenza del vero e della persona
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